venerdì 8 luglio 2011
La laurea rischia di perdere il suo valore legale
Ormai, nel nome di una quantomai complessa e fantomatica liberalizzazione, i nostri politici non sanno più cosa inventarsi. Ecco che, anche questa volta, si guarda all'esempio statunitense, ovvero creare un "rating" degli atenei italiani dando ad ogni laurea un valore differente a seconda di dove sia stata conseguita.
Permettetemi di dirlo, un vero e proprio inno alla disuguaglianza economico-sociale.
Molte proposte di legge sono già state fatte dal centrodestra e in Senato è stata avviata un'indagine conoscitiva circa gli "effetti connessi all'eventuale abolizione del valore legale del diploma di laurea". Sono certo non ci voglia un indovino per prevedere gli effetti di una manovra politica atta a distruggere il principio di uguaglianza che vige alla base del conseguimento di una laurea, a prescindere dall'ateneo in cui questa sia ottenuta. Ma andiamo con ordine.
Il mondo economico e Confindustria in primis, guarda caso, ritiene che il valore legale che la Repubblica Italiana riconosce al titolo di studio accademico sia obsoleto in quanto il tutto si limita ad un uso formalistico di questo, ottenendo spesso risultati opposti a quelli che, inizialmente, erano nelle intenzioni del legislatore. Il valore legale della laurea, infatti, nasce per le imprese e il settore pubblico che, assumendo laureati, sarebbero stati garantiti sulla qualità delle competenze degli assunti, andando così a costituire un vero e proprio marchio di qualità concesso dallo Stato alle università.
Secondo Confindustria abrogare il valore legale della laurea corrisponderebbe a liberalizzare la formazione universitaria, rendendo il mercato il vero regolatore del valore, sostanziale e non formale, dei titoli rilasciati. Alla luce di questo, si può velocemente dedurre che, in caso passi l'abrogazione del valore legale della laurea, chiunque potrebbe decidere di istituire una università e chiunque potrebbe decidere di sostenere esami di abilitazione professionale come medico o avvocato pur avendo fatto un percorso di studi in Agraria ad esempio.
L'intero mondo accademico, coadiuvato dagli ordini professionali, manifesta forti perplessità relativamente alla questione. Anche se bisogna impegnarsi sempre più contro le caste e le raccomandazioni e valorizzare realmente solo i laureati meritevoli, il mondo accademico ritiene che l'abolizione del valore legale della laurea non sia una soluzione pensabile. Così come diversi ordini professionali difendono il valore legale della laurea in quanto certificazione comprovante della fine di un percorso formativo compiuto secondo la normativa vigente e garanzia di tutela del pubblico interesse.
Da parte sua, il neoeletto presidente dei giovani industriali, Jacopo Morelli, ha tuonato dalle pagine di un quotidiano affermando: "La prima cosa che chiederemo è l'abolizione del valore legale del titolo di studio". Forse farebbe meglio a pensare ad un piano strategico per ampliare le opportunità dei giovani di imprendere in un mercato come quello italiano, estremamente clientelare e puntellato da oligopoli di ogni tipo.
Per concludere, ancora un volta, c'è chi vuole fare dell'Italia una fotocopia dell'America, dimenticando che nel nostro paese non vi sono nemmeno i presupposti minimi per avvicinarci al solo concetto di liberalizzazione che hanno negli USA. Lo stesso rating degli atenei, cosa perfettamente funzionante oltreoceano, da noi diverrebbe la solita barzelletta, dove la maggior parte degli atenei del centro-sud, per buona pace di quelli romani, si svuoterebbero completamente fino a chiudere e le "solite e rinomate" università private, per lo più milanesi, accrescerebbero drasticamente il proprio bottino fino a tentare di quotarsi in borsa.
Così, chi può si laurea col massimo rating e trova lavoro e chi non può si accontenta di un ateneo qualunque e non lavora. Premesso che l'equazione "università privata = preparazione" è stata depennata da un pezzo dato che anche uno stolto, se ha la possibilità economica, può laurearsi alla Bocconi seppur con il minimo, e che un tale scenario non abolirebbe certamente il clientelismo e la raccomandazione, allora, ditemi, cosa cambierebbe?
Sarà l'ennesimo capriccio del centrodestra per accontentare una parte dei suoi elettori oppure c'è "qualcuno" o "qualcosa" che tira l'orlo delle vesti politiche verso una competitività che, per l'ennesima volta, dovrebbe essere ottenuta a discapito del povero giovane universitario dal futuro sempre più incerto?
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