mercoledì 27 luglio 2011

Con LinkedIn invii il curriculum con un click


Il social network LinkedIn rappresenta ormai un enorme calderone professionale all'interno di cui confluiscono aziende, manager, impiegati, artigiani, liberi professionisti, enti pubblici, politici e così via. Se sei un professionista di qualunque settore, avere un profilo professionale su LinkedIn è ormai un must, non esserci equivarrebbe ad essere etichettato come "archeodigital".

Ciò che ha contraddistinto LinkedIn fin dal principio è stato il suo scopo esplicitamente professionale. L'obiettivo del social network è quello di mettere in contatto i professionisti di ogni settore attraverso la creazione e la pubblicazione del proprio profilo. Attraverso LinkedIn chiunque può condividere idee relative al proprio lavoro, può partecipare a gruppi professionali, può entrare in contatto con altri professionisti e/o aziende e può, cosa non meno importante, cercare lavoro.

É questa, forse, la vera forza di LinkedIn, una vetrina globale per chi è alla ricerca di un lavoro o per chi vuole cambiarlo. In quanto database di milioni di profili professionali, LinkedIn sta sostituendo nel tempo il curriculum in sé rappresentando oramai una sorta di "curriculum digitale permanente" e perennemente consultabile da chiunque fosse interessato, head hunters compresi. Per questo chiunque vi sia iscritto ha tutto l'interesse nel tenerlo aggiornato e mirato ad un settore; anche chi un'occupazione ce l'ha, non si sa mai.

Il social network fin dal 2003, anno della sua nascita ad opera di Reid Hoffmann, ha potenziato il sistema di collegamenti e condivisione investendo in maniera massiccia sulle potenzialità di LinkedIn come "cercatore di lavoro". A questa precisa strategia risponde l'ultima trovata del portale il quale ha lanciato un nuovo bottone "Candidati ora" attraverso cui ogni utente potrà inviare il proprio curriculum professionale a un'azienda senza dover inviare una e-mail o conoscere l'indirizzo del destinatario. Il bottone permette a tutti gli iscritti di condividere immediatamente le informazioni relative alla propria formazione e alla propria esperienza professionale.

Da oggi quindi LinkedIn, che conta 100 milioni di utenti registrati nel mondo, oltre ad offrire la possibilità di stampare il proprio profilo alla stregua di un curriculum in formato pdf, oltre a permetterci di cercare offerte sotto la voce "Lavoro" mette a disposizione di tutti gli utenti iscritti questo bottone immediato, lanciato come plugin per le pagine web delle aziende. Gli utenti, cliccando sul bottone, condividono in questo modo il proprio profilo professionale senza dover fare null'altro. Niente mail, niente moduli, niente di niente. Il processo è interamente automatico ed è possibile aggiungere dei brevi commenti alla propria candidatura.

Le imprese che cercano personale, da par loro, possono includere fino a tre domande a chi invia il suo curriculum e possono chiedere di allegare una lettera di presentazione. In questo modo LinkedIn risulta sempre più integrato con i siti web esterni e diventa sempre più la risorsa principale nella selezione di personale da parte di aziende e cacciatori di teste.


lunedì 25 luglio 2011

Il parlamento è lo specchio dell'anima?


Qualche giorno fa un'inchiesta apparsa sulla edizione on line de L'Espresso dal titolo "Noi, onorevoli e nullafacenti" ha presentato la prima parte di un'intervista a Carlo Monai, avvocato, ex consigliere regionale e oggi deputato dell'Idv al primo mandato parlamentare.

Il "coraggioso" deputato ha accettato di svelare la quantità di vitalizi, indennità, doppi incarichi, privilegi, sconti, regali a cui qualsiasi politico di quel livello ha diritto. Proprio nei giorni in cui la manovra finanziaria chiede alle famiglie italiane centinaia di sacrifici economici i costi della politica continuano ad essere sproporzionati e indiscriminati e completamente a carico dei poveri contribuenti italiani.

L'intervista arriva a pochi giorni dalla pubblicazione su Facebook della pagina "I segreti della casta di Montecitorio" ad opera del fantomatico "Spider Truman", precario licenziato dopo 15 anni di onorato e sottopagato servizio. Ben 368.000 persone hanno deciso, fino ad ora, di approfondire quanto ci costa la politica italiana e che sproporzione economica esiste in Italia tra chi le leggi le fa e chi le subisce.

L'onorevole Monai ha spiegato che la busta paga di un politico si aggira intorno ai 14.000 euro al mese netti escludendo altre indennità di carica. A comporre la cifra concorrono uno stipendio netto da 5.486,58 euro a cui si aggiunge una diaria di 3.503,11 euro, un rimborso spese forfettario di 3.690 euro e 1.500 euro di emolumenti per spese di viaggio e telefoni. Oltre a ciò bisogna considerare i plafond messi a disposizione dal parlamento per l'acquisto di computer (altrimenti come potrebbero giocare in aula con l'iPad?) e le spese telefoniche oltre alla possibilità di viaggiare gratis in autostrada, in terno, in aereo e in nave. E il taxi? Niente paura, esiste un rimborso che va dai 1.070 ai 1.331 euro al mese a seconda della distanza tra l'abitazione e l'aeroporto. Le agevolazioni dovrebbero essere utilizzate solo per viaggi legati all'incarico politico, cosa che, chiaramente, non avviene praticamente mai.

Per concludere ecco una chicca. L'onorevole afferma che la stragrande maggioranza dei deputati viaggia solo in Alitalia pur essendo la più cara e costando di più ai contribuenti. La cosa avviene per due motivi: il primo perché in caso si decidesse di viaggiare con un'altra compagnia, anche low cost, toccherebbe al politico anticipare il biglietto (mentre con Alitalia anticipa il Parlamento); il secondo perché viaggiando con Alitalia si accumulano punti sulla tessere fedeltà "Millemiglia"che permettono, a lungo andare, di viaggiare gratis all'estero e di regalare vacanze ai propri familiari. Il viaggio all'estero, l'unica cosa che, a dir di Monai, il deputato parlamentare italiano deve pagare di tasca propria.

Per concludere, visto l'esiguo stipendio dei parlamentari, molte case automobilistiche riservano ai politici sconti sull'acquisto di un'auto che vanno dal 10% al 25%, mentre la Telecom riserva a deputati e senatori un contratto chiamato "Tim Top Business Class" a prezzi impensabili per un utente che non abbia una carica politica.

Chi sa che mole di lavoro avranno i nostri politici per guadagnare tutti questi soldi? É presto detto. Secondo il deputato dell'Idv si lavora in media due giorni a settimana, al massimo tre e di solito dal martedì al giovedì. Il venerdì è tabù. Pensate, 14.000 euro netti per 8 giorni lavorativi mensili. Roba da matti.

Questi sono i valori della politica italiana, questo è quanto si prospetta al giovane che approccia ora il mondo del lavoro. Si dice che la classe politica di un paese di solito rispecchi il cittadino medio. Il parlamento italiano è quindi lo specchio dell'anima dell'italiano medio? Auguriamoci di no, per il nostro bene.


sabato 23 luglio 2011

Amy Winehouse è morta


Assurdo. É questo l'attributo giusto, assurdo. Assurdo morire a 28 anni non ancora compiuti e cancellare per sempre una delle voci e dei talenti musicali più cristallini dei nostri tempi. Così, dopo essersi consumata lentamente a suon di alcol e droghe, Amy Winwhouse è stata trovata priva di vita nella sua abitazione londinese a Camden Square alle 4 di oggi pomeriggio.

Le circostanze della morte sarebbero ancora da chiarire ma impazzano già le ipotesi relative alle cause della morte. Il Sunday Mirror ritiene sia morta per un cocktail di droga e farmaci. Secondo le fonti citate dal Tabloid la Winehouse stava vivendo uno dei peggiori periodi della sua vita e abusava continuamente di vodka tanto che, solo nell'ultima settimana, sarebbe svenute 3 volte.

Più sconcertante è invece la versione del Sunday Times secondo cui la cantante si sarebbe suicidata. Ad ogni modo, mette i brividi dirlo, è come se la vita del giovane talento londinese fosse già segnata. Ogni notizia che la riguardava, ogni apparizione in pubblico, tra cui l'ultimo concerto di Belgrado, parlavano di una vita di eccessi costruita sui vizi dell'alcol e della droga. A seguito della infelice e triste performance di Belgrado, tenuta il 18 giugno scorso, il management della cantante aveva pensato di annullare la tappa italiana del suo tour, che l'avrebbe vista esibirsi il 16 luglio al Lucca Summer Festival, e successivamente l'intero tour europeo.

Il suo timbro inconfondibile, la sua capacità innata di miscelare Rithm 'n Blues, Soul, Jazz, Rock 'n Roll, hanno ceduto tropo spesso il passo ai suoi problemi con alcol e droga, alla anoressia, alla bulimia e a una eccentricità che quasi sempre confluiva nell'auto-distruzione. Si perché Amy, alla fine di tutto, non ha fatto altro che distruggere se stessa.

Dopo Janis Joplin, Jimi Hendrix e Jim Morrison, tutti morti a 27 anni, è arrivata anche l'ora di Amy Winehouse. Un'altra morte maledetta che ha tutte le carte in regola, come quella dei suoi predecessori, per divenire la nascita di un mito.

Permettetemi di dirlo, è tutto molto triste.

Avrei preferito sentirla fino a quando sarebbe diventata "non più di moda". Sono certo che la musica tutta ne avrebbe guadagnato. Invece ora non ci rimane che ascoltare "Frank" e "Back to Black" per ricordarci di come si possa buttar via un grande talento ma prima di tutto una giovane, troppo giovane vita.


Smartphone: Apple supera Nokia


Il periodo che va da aprile a giugno del 2011 verrà ricordato come il tempo del sorpasso di Apple sul gigante Nokia nelle vendite di smartphone. Come riporta il Financial Times, il distacco tecnologico tra i due contendenti al trono comincia ad essere davvero rilevante.

Da un lato il colosso finlandese, fino ad ora incontrastato leader della telefonia mondiale, imprigionato dal proprio software Symbian ormai obsoleto e dalla chiusura del secondo trimestre con perdite pari a 368 milioni di dollari e vendite in calo del 34% a 16,7 milioni di unità; dall'altro la società di Cupertino, fresca del trimestre migliore di sempre con 20,3 milioni di unità vendute, che già aveva sorpassato Nokia in termini di ricavi e utili.

I finlandesi continuano a mantenere il primato del maggior produttore di telefonia al mondo, ma l'evidente arretratezza delle strategie tecnologiche e commerciali ha causato la débacle dell'ultimo trimestre. I rapidi cambiamenti che hanno stravolto il settore della telefonia nell'ultimo decennio, per lo più pilotati da Apple, hanno messo a dura prova la muscolosa Nokia la quale non è stata in grado di reagire alle brucianti innovazioni dell'agilissima e innovativa azienda di Cupertino.

Per colmare il gap in termini di software (iOs è anni luce davanti al Symbian) con la ormai maggiore concorrente Apple, l'azienda finlandese sta puntando tutto sull'accordo con Microsoft per utilizzare il sistema operativo Windows Phone sui propri smartphone entro la fine del 2011, rimpiazzando così il vecchio e stanco Symbian.

Apple nel frattempo si crogiola negli utili dell'ultimo trimestre mostrando uno stato di salute invidiabile e si prepara all'evento di settembre in cui, tra le ultime novità, potrebbe esserci anche il nuovo iPhone, il fortunatissimo e quanto mai desiderato, nonché unico, smartphone di casa Cupertino.


mercoledì 20 luglio 2011

Riattivato l'irpef sulla prima casa. La manovra non salva nessuno


Della serie "a volte ritornano". La manovra di bilancio non risparmia neanche l'irpef sulla prima casa, quella abitativa, la quale rientrerà, a partire dal 2013, nel quadro della stretta sulle agevolazioni fiscali. Cosicché ogni proprietario di una abitazione, per un totale di circa 24,2 milioni di italiani, si vedrà costretto a pagare, a partire dalla dichiarazione dei redditi del 2014, il 20% della rendita catastale.

Casa dolce casa. L'ennesima cocente sorpresa per i contribuenti italiani i quali, in questo periodo, ormai si aspettano di tutto. Certo è che il governo dovrà prepararsi a vivere anni di impopolarità, specie dopo che il presidente del consiglio aveva assunto come diktat della maggioranza l'abbattimento delle tasse sulla casa e sulla famiglia in genere.

La deduzione integrale della rendita catastale dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale esiste dal 2001 grazie ad una norma introdotta dal centrosinistra. Fino ad oggi, quindi, la rendita catastale non è una voce che rientra tra quelle che concorrono a formare l'irpef imponibile. Con i tagli previsti dalla manovra economica, a partire dal biennio 2013-2014, durante la compilazione del modello 730 i proprietari di una casa adibita ad abitazione principale si vedranno costretti a sommare al proprio irpef il 20% del valore della rendita catastale della propria casa.

In questo modo lo Stato italiano dovrebbe recuperare circa 3 miliardi di euro a partire dalla dichiarazione dei redditi del 2014. In media, essendo la rendita catastale un valore piuttosto basso, il 20% di questo valore, sommato all'irpef, non inciderà in maniera preponderante sulla somma da erogare alla stato. Se però sommiamo questa "nuova" tassa alle addizionali comunali e regionali irpef effetto del federalismo fiscale e agli altri tagli su detrazioni e deduzioni in arrivo nel biennio in parola il contribuente non ha nulla di cui rallegrarsi.

Insomma, per sanare il buco di bilancio e porre un freno al decadimento del nostro sistema economico il governo non sa più in quale angolo delle tasche degli italiani mettere le mani.

Se allo stato attuale delle cose, uno stipendio di 1.000 euro al mese, percepito mediamente da milioni di italiani, per lo più giovani trentenni precari costretti pertanto a "prolungare" la convivenza con i propri genitori, indica uno stato di povertà quasi totale cosa accadrà fra poco più di un anno?

Ma i nostri politici sono troppo impegnati a chiamare bamboccioni  i giovani precari che vivono con uno stipendio da miseria per chiedersi come mai, nel giro di una sola generazione, l'Italia abbia praticamente depauperato e annullato lo sviluppo economico aprendo le porte ad una nuova povertà fatta di coloro che non hanno la libertà di sentirsi autonomi perché da soli non arriverebbero alla fine di due settimane e non a fine mese.


lunedì 18 luglio 2011

Tulalip on line per errore. Il social network di Microsoft sul web per un istante


Errore o abile regia mirata al word of mouth? Qualunque sia il vero motivo della "fuga di social network" avvenuta in casa Microsoft, la home page del nuovo progetto del colosso americano, Tulalip, è apparsa all'indirizzo Socl.com per breve tempo per poi essere sostituita da un messaggio su fondo bianco. Il messaggio recitava: "Grazie per la visita. É un progetto interno di Microsoft research, pubblicato per sbaglio sul web. Non volevamo farlo, davvero".

Sarò malizioso, ma proprio non riesco a berla. Infatti, è bastata questa fugace apparizione del futuro social network di Microsoft per scatenare le voci del web, le quali già parlano di un nuovo "nemico" di Facebook e del giovanissimo Google+. Nel giro di poche ore dalla comparsa della schermata iniziale di Tulalip la curiosità per questo nuovo progetto ha creato una massa vorticosa di notizie, informazioni, indiscrezioni, le quali hanno fatto balzare la notizia in cima agli argomenti di interesse del web. Se davvero è stato un errore, Microsoft dovrà ammettere che mai negligenza fu così provvidenziale.

In effetti, con lo strapotere di Facebook, con l'ascesa di Twitter e con il lancio di Google+, destare attenzione attorno all'ennesimo Social Network, seppur di casa Microsoft, risulterebbe davvero difficile. A meno che non si adotti una strategia di Viral Marketing come potrebbe esserlo, ad esempio, una momentanea ed "erronea" pubblicazione della home page di Tulalip.

Dal punto di vista estetico, la schermata iniziale di Tulalip è in pieno stile Microsoft. É facilmente ravvisabile l'impronta dei nuovi sistemi operativi Windows, mobile e non, con la classica ondina a spirale che appare dietro alla scritta "Welcome". Incuriosisce invece la presenza sulla schermata iniziale di due pulsanti per i collegamenti a Facebook e Twitter, la cui cosa sembrerebbe in parte demolire l'opinione dei sostenitori della guerra fra giganti a colpi di social e far propendere verso la nascita di uno strumento "limitato", o meglio adito alla condivisione ma, allo stesso di tempo, di "supporto" ai veri "social network". In tal caso sembrerebbe prospettarsi l'ennesimo round "Google Vs Microsoft" data l'assenza di un'icona dedicata a Google+.

Siamo certi che a breve sapremo se dar credito ai "guerrafondai" del web oppure meno. Certo è che la via del social è sempre più un diktat per ogni colosso informatico che si rispetti e che il sovraffollamento dettato dalla "corsa alla condivisione" sta apportando non pochi cambiamenti al modo di comunicare sul web e alle sue modalità di fruizione. Ben presto ci troveremo ad avere decine di profili su altrettanti social network frammentando ancor di più la nostra "personalità digitale" già di per sé liquida.

In mezzo a questi avvenimenti, come sempre accade, c'è sempre un gaudente, in tal caso rappresentato dal mercato pubblicitario digitale il quale, grazie al moltiplicarsi dei canali di comunicazione, diventa sempre più affinato e mirato a target segmentati. Sempre che avere decine di profili digitali differenti voglia dire segmentazione e non confusione.


giovedì 14 luglio 2011

Count down manovra economica. Anche le famiglie nel calderone



70 miliardi di euro. Questa la cifra stratosferica che la manovra economico-finanziaria, promossa dal ministro Tremonti, dovrebbe introiettare nelle casse dello stato entro la fine del 2014. Un bel passo in avanti, secondo l'UE, rispetto ai circa 43 miliardi preventivati precedentemente alle correzioni effettuate in Senato.

Stamani, alle 9.30, è iniziato l'esame in Aula del senato e si attende in giornata il via libera per la manovra di bilancio approvata durante la notte. In sintesi, entrambi i rami del parlamento dovrebbero dare l'ok alla manovra con voto di fiducia dopo l'accordo raggiunto tra maggioranza e opposizione rendendola esecutiva dal prossimo lunedì.

Ma andiamo al cuore della vera novità dell'ultima ora, il taglio indistinto alle agevolazioni fiscali che coinvolgerà a pieno titolo tutte le famiglie italiane. Infatti, dopo l'annuncio di un ticket di 10 euro sulle ricette mediche e di 25 euro per gli interventi del pronto soccorso in codice bianco, arriva un altro "rinforzo" alla manovra, necessario per tirar fuori altri 20 miliardi di euro per risanare il debito pubblico, il taglio di tutte le 483 voci di agevolazione fiscale attualmente previste.

Il taglio sarà graduale e passerà dal 5% nel 2013 al 20% del 2014 per poi rimanere tale. Tra le voci interessate, faranno sicuramente discutere i tagli relativi ai figli a carico, alle spese per la sanità, ai redditi da lavoro dipendente, agli asili e agli studenti universitari. Il relatore Gilberto Pichetto Fratin ha poi aggiunto che "il governo con successivi decreti potrà decidere di escludere alcune categorie".

Magra consolazione, considerando che questi nuovi tagli alle agevolazioni per le famiglie italiane vanno ad aggiungersi ad un tasso di inflazione che a giugno è salito al 2,7%, il più alto dal novembre del 2008, e ad un caro benzina del +11,9% e ad un caro gasolio del +14% nello stesso mese. Per non parlare dei prezzi degli alimentari che aumentano senza freni da due anni, di un carrello della spesa che oggi ci costa il 3,5% in più e del rialzo dei prezzi dei biglietti di praticamente tutti i mezzi di trasporto pubblici e privati.

Infine, ancora una volta, il povero studente universitario, oltre a rischiare di non vedersi riconosciuto il valore legale del proprio sacrificio, rischia di perdere ogni forma di agevolazione in materia di tasse e di borse di studio, tenendo presente che la sua famiglia, con i tempi che corrono, avrà qualche difficoltà in più a mantenerlo. Ma siamo sicuri che l'Italia voglia davvero incentivare l'istruzione dei giovani e assicurarsi una nuova classe dirigente?

Prepariamoci quindi ad aggiungere un buco alla cintura per stringerla e a mantenere la "linea" per diversi anni perché difficilmente potremo permetterci di ingrassare a suon di debiti come ci è stato permesso per decenni dalla nostra cara vecchia politica italiana.


martedì 12 luglio 2011

Un libro inesistente primo in classifica su Amazon



Come costruire il successo di un libro, seppur ancora non scritto, nel 2011? Semplice, basta avere 1 milione e centomila fan su Twitter, 526mila followers su YouTube, 62mila amici su Facebook, 60mila compagni di discussione su Nerdfighters.com, 27mila followers su Yourpants.org e 26mila fratelli su Tumblir.

A quel punto basta un semplice messaggio: "Ecco il titolo del mio nuovo libro. Firmerò tutte le preordinazioni". Bingo. Il miracolo è compiuto. Lo scorso martedì, dopo poche ore dall'annuncio, il libro fantasma era primo in classifica su Amazon.

 L'autore del libro in questione è John Green, scrittore americano di libri per ragazzi dal discreto successo. Questo ragazzo di 33 anni, vero e proprio cultore del web, ha deciso di dimostrare al mondo che il futuro dei libri non passa solo attraverso gli e-book o le librerie virtuali. La vera scommessa di Green consiste nell'evidenziare che l'unico strumento di promozione di un libro, che possa superare la crisi dell'editoria, è il Social Network. Esso è capace di portare ai vertici delle classifiche mondiali un libro che non esiste e di cui si conosce a malapena un abstract della trama.

L'incredibile successo di "The fault in our stars", titolo del libro ancora da scrivere, è merito dell'intuzione di Green che ha reso il suo "libro del futuro" un best seller prima ancora di scriverlo. Così, lo stesso martedì sera, dopo aver scalato la classifica di Amazon il libro si trovò al primo posto anche su Barnes&Nobles, la catena libraria più vasta d'America.

La popolarità di Joh Green, più che dalla pubblicazione dei suoi libri, deriva da un esperimento che impazzò sul web per diverso tempo, il celeberrimo  Brotherhood 2.0. Green, per circa un anno, parlò con suo fratello soltanto tramite Videoblog rinunciando alla comunicazione testuale. L'esperimento destò la curiosità di migliaia di persone che affollarono il sito generando un traffico smisurato e portando alla ribalta del web il pioniere John.

Nel frattempo il libro continua a rimanere in testa alla classifica di Amazon da una settimana e al Wall Street Journal lo scrittore ha detto: "(...) il trionfo del passaparola sul web è la prova definitiva che la via per uscire dalla crisi passa, anche qui (riferendosi all'editoria), dal social network". Probabilmente, ora che si è assicurato che il suo libro diverrà con matematica certezza un best seller, John Green si metterà a scriverlo.

Ora, se la vicenda non fa una grinza dal punto di vista del web marketing editoriale e diverrà sicuramente caso di studio per gli esperti del settore, da un punto di vista etico-letterario la vicenda causa un vero e proprio terremoto per i puristi, gli intellettuali o, semplicemente, per gli amanti della buona letteratura. Infatti, se da un lato il web permette di dare nuova linfa si sistemi dell'editoria, dall'altro si perde totalmente il senso dello scrivere un libro, ovvero fare cultura e regalare sogni e conoscenza ai lettori.

Per fare di un libro un best seller, di solito, interviene un passaparola di tipo cosciente e provocato da coloro che il libro l'hanno letto e apprezzato e, successivamente, consigliato. In questo caso lo schema è perfettamente all'inverso: il passaparola si sviluppa sulla base della notorietà dell'autore sul web la cui immagine diventa essa stessa garanzia di qualità giustificandone addirittura un "word of mouth" di massa prima ancora che il testo sia scritto.

Un vero e proprio paradosso del web. Forse questo dimostra che il web, come tutti i canali di comunicazione, va mediato e gestito in alcune sue sfaccettature o semplicemente l'attenzione dell'umanità sta virando nettamente dalla preferenza per la qualità dell'elaborato alla preferenza dell'innovazione promozionale? La notorietà sul web dell'autore diventerà garanzia di vendita di un libro o è solo una eccezione destinata a diventare un "caso"? Staremo a vedere.

Ora, per tutti coloro che hanno acquistato il libro al buio, quasi come fossero in una partita di poker, ritenendo superflua la lettura di almeno qualche pagina, e per la Pearson, casa editrice dell'autore, speriamo che John Green faccia un buon lavoro e il suo racconto (dovrebbe essere una storia strappalacrime di due malati terminali) sia avvincente come ha promesso ai suoi fan. D'altronde, se quasi due milioni di persone sono disposte ad acquistare un libro che non esiste sono pronto a scommetterci che non impiegherebbero più tempo a decretarne la "morte" editoriale se questo non rispondesse alle aspettative. Si chiama "rise and fall" ed ormai è un'altra prerogativa del web.


lunedì 11 luglio 2011

In Corea a scuola solo con gli e-book entro il 2015


Mentre in quasi tutti gli stati del mondo gli e-book non decollano, eccezion fatta per gli USA in cui i libri digitali vantano una quota del 10% sul totale del mercato editoriale, la Corea del Sud rompe gli schemi e annuncia una vera e propria rivoluzione che partirà obbligatoriamente dai più giovani.

Il ministro dell'educazione sudcoreano Ju-ho Lee ha annunciato che entro il 2015 verranno completamente eliminati i libri scolastici tradizionali e sostituiti dagli e-book. La cifra stanziata dal governo sud coreano equivale a circa 1 miliardo e 600 milioni di euro e prevede la digitalizzazione di tutti i volumi per le scuole e i licei.

Per gli studenti provenienti da famiglie meno abbienti la manovra prevede la fornitura di tablet gratuiti, oltre alla creazione di un network cloud che permetterà ad ogni studente di leggere qualsivoglia testo anche comodamente da casa laddove impossibilitato a raggiungere la scuola per qualsiasi motivo. Basterà una semplice connessione a internet e il gioco sarà fatto. Inoltre, per permettere agli studenti di connettersi al web e poter leggere i testi durante le ore di lezione, tutti gli istituti scolastici verranno attrezzati con punti di accesso wi-fi.

Una vera innovazione che parte dai giovani studenti sud coreani, i più ricettivi verso l'apprendimento tramite computer secondo l'Organisation for Economic Cooperation and Development. L'innovazione sarà a pieno regime entro il 2015 in quanto, secondo le stime del governo sud coreano, in 4 anni l'80% della popolazione possederà un dispositivo smart.

Considerando che la Corea del Sud è la patria di giganti dell'elettronica come Samsung e LG, il piano non assume le sembianze di un fulmine a ciel sereno ma piuttosto di una naturale evoluzione dello sviluppo digitale di un paese già pioniere in tal senso. La cosa che invece meraviglia, in senso positivo, è come l'innovazione digitale possa facilmente migliorare le opportunità e le condizioni di studio di qualsiasi studente, ricco o povero che sia, senza alcuna distinzione.

Allora, ci si potrebbe chiedere, perché ci sia tanta difficoltà nel ridurre, almeno in parte, lo spreco di carta per adottare uno strumento smart, ecologico, pulito e profondamente egualitario. Per guardare al nostro paese, siamo certi che le case editrici non ne sarebbero contente e lo dimostra il fatto che in Italia la quota degli e-book rappresenta lo 0,1% del totale. Lobby o mera resistenza all'innovazione? Forse, se guardiamo a ciò che sta accadendo in ambito carburanti, potremmo trovare un interessante parallelo.

Ad ogni modo, non chiedete ad un editore perché preferisce stampare su carta anziché pubblicare su un monitor, vi risponderà "La carta si legge meglio e aiuta la concentrazione".


venerdì 8 luglio 2011

La laurea rischia di perdere il suo valore legale


Ormai, nel nome di una quantomai complessa e fantomatica liberalizzazione, i nostri politici non sanno più cosa inventarsi. Ecco che, anche questa volta, si guarda all'esempio statunitense, ovvero creare un "rating" degli atenei italiani dando ad ogni laurea un valore differente a seconda di dove sia stata conseguita.

Permettetemi di dirlo, un vero e proprio inno alla disuguaglianza economico-sociale.

Molte proposte di legge sono già state fatte dal centrodestra e in Senato è stata avviata un'indagine conoscitiva circa gli "effetti connessi all'eventuale abolizione del valore legale del diploma di laurea". Sono certo non ci voglia un indovino per prevedere gli effetti di una manovra politica atta a distruggere il principio di uguaglianza che vige alla base del conseguimento di una laurea, a prescindere dall'ateneo in cui questa sia ottenuta. Ma andiamo con ordine.

Il mondo economico e Confindustria in primis, guarda caso, ritiene che il valore legale che la Repubblica Italiana riconosce al titolo di studio accademico sia obsoleto in quanto il tutto si limita ad un uso formalistico di questo, ottenendo spesso risultati opposti a quelli che, inizialmente, erano nelle intenzioni del legislatore. Il valore legale della laurea, infatti, nasce per le imprese e il settore pubblico che, assumendo laureati, sarebbero stati garantiti sulla qualità delle competenze degli assunti, andando così a costituire un vero e proprio marchio di qualità concesso dallo Stato alle università.

Secondo Confindustria abrogare il valore legale della laurea corrisponderebbe a liberalizzare la formazione universitaria, rendendo il mercato il vero regolatore del valore, sostanziale e non formale, dei titoli rilasciati. Alla luce di questo, si può velocemente dedurre che, in caso passi l'abrogazione del valore legale della laurea, chiunque potrebbe decidere di istituire una università e chiunque potrebbe decidere di sostenere esami di abilitazione professionale come medico o avvocato pur avendo fatto un percorso di studi in Agraria ad esempio.

L'intero mondo accademico, coadiuvato dagli ordini professionali, manifesta forti perplessità relativamente alla questione. Anche se bisogna impegnarsi sempre più contro le caste e le raccomandazioni e valorizzare realmente solo i laureati meritevoli, il mondo accademico ritiene che l'abolizione del valore legale della laurea non sia una soluzione pensabile. Così come diversi ordini professionali difendono il valore legale della laurea in quanto certificazione comprovante della fine di un percorso formativo compiuto secondo la normativa vigente e garanzia di tutela del pubblico interesse.

Da parte sua, il neoeletto presidente dei giovani industriali, Jacopo Morelli, ha tuonato dalle pagine di un quotidiano affermando: "La prima cosa che chiederemo è l'abolizione del valore legale del titolo di studio". Forse farebbe meglio a pensare ad  un piano strategico per ampliare le opportunità dei giovani di imprendere in un mercato come quello italiano, estremamente clientelare e puntellato da oligopoli di ogni tipo.

Per concludere, ancora un volta, c'è chi vuole fare dell'Italia una fotocopia dell'America, dimenticando che nel nostro paese non vi sono nemmeno i presupposti minimi per avvicinarci al solo concetto di liberalizzazione che hanno negli USA. Lo stesso rating degli atenei, cosa perfettamente funzionante oltreoceano, da noi diverrebbe la solita barzelletta, dove la maggior parte degli atenei del centro-sud, per buona pace di quelli romani, si svuoterebbero completamente fino a chiudere e le "solite e rinomate" università private, per lo più milanesi, accrescerebbero drasticamente il proprio bottino fino a tentare di quotarsi in borsa.

Così, chi può si laurea col massimo rating e trova lavoro e chi non può si accontenta di un ateneo qualunque e non lavora. Premesso che l'equazione "università privata = preparazione" è stata depennata da un pezzo dato che anche uno stolto, se ha la possibilità economica, può laurearsi alla Bocconi seppur con il minimo, e che un tale scenario non abolirebbe certamente il clientelismo e la raccomandazione, allora, ditemi, cosa cambierebbe?

Sarà l'ennesimo capriccio del centrodestra per accontentare una parte dei suoi elettori oppure c'è "qualcuno" o "qualcosa" che tira l'orlo delle vesti politiche verso una competitività che, per l'ennesima volta, dovrebbe essere ottenuta a discapito del povero giovane universitario dal futuro sempre più incerto?


mercoledì 6 luglio 2011

Twitter protagonista della campagna elettorale USA 2012. Obama fa le prove


Gli USA hanno da sempre fatto scuola in materia di comunicazione politica, sia in campagna elettorale sia durante un governo. Tutto ciò che i politici italiani, ad esempio, utilizzano in termini di tecniche e armi comunicative sono state mutuate nel tempo dai loro colleghi americani.

Con l'attuale presidente Barak Obama, Washington ha forse toccato l'apice tecnologico in materia di comunicazione politica. Infatti, il leader statunitense ha dimostrato sin da subito una grande capacità di sperimentare ed utilizzare al meglio il potenziale comunicativo del web e dei social network, strumento prediletto dalla stragrande maggioranza dei giovani ad una tradizionale informativa politica. Grazie alle sue capacità di "utente", Obama è riuscito a comunicare con target considerati da sempre difficilmente raggiungibili quali sono i giovani sotto i 30 anni.

Esemplare e vincente è stata la creazione e l'utilizzo di un profilo personale su Facebook in occasione dell'ultima campagna elettorale che ha consegnato alla stampa e all'opinione pubblica l'immagine di un politico fresco, innovativo, vicino ai giovani e al passo con i tempi. Adesso, dopo internet e Facebook, la vera novità della prossima campagna presidenziale del 2012 sembrerebbe essere il social network Twitter.

Ad aprire le danze è stato lo stesso Obama che già dalla scorsa settimana ha iniziato (o chi per lui) a inviare dei tweet attraverso il proprio account firmato "BO". Inoltre, alle 14 odierne, ora di Washington, il presidente degli USA terrà per la prima volta una "town hall", l'incontro con la cittadinanza peculiarità della politica americana, sulla piazza virtuale di Twitter. Per anticipare l'evento, che avrà come argomento l'Economia e il Lavoro, argomenti molto cari ai giovani, è stato aperto un indirizzo pubblico askobama.twitter.com a cui i cittadini, da circa una settimana, hanno inviato domande al presidente. A regolare il dibattito e il flusso delle domande sul social network interverrà il co-fondatore di Twitter, Jack Dorsey. Obama farà il resto.

C'è da scommetterci che se un leader e un innovatore come Obama ha iniziato ad utilizzare Twitter, la prossima campagna elettorale del 2012 si giocherà lì. D'altronde, Obama è divenuto un vero e proprio mito, spesso emulato da tanti altri politici in tutto il mondo. Come dire, Obama va di moda e con lui tutto ciò che fa, social network inclusi.

Videochiamata su Facebook? Oggi ce lo dirà Zuckerberg


Se son rose fioriranno. Da quando Mark Zuckerberg, pochi giorni fa, ha parlato di qualcosa di incredibile alla quale il suo team stava lavorando per migliorare Facebook il web è letteralmente impazzito.

Alle 18 di oggi questa "incredibile evoluzione" del Social Network dovrebbe essere ufficializzata grazie ad una conferenza del suo creatore che dovrebbe porre fine alle ipotesi lanciate sul web negli ultimi giorni. Fra le più accreditate vi è sicuramente l'implementazione della videochiamata, la quale corrisponderebbe ad una sorta di risposta a quanto ha appena fatto Google con il suo social network sperimentale Google+.

Ciò che ha incuriosito maggiormente gli addetti ai lavori è se Facebook abbia sviluppato la nuova funzionalità internamente o se abbia stipulato un accordo con Microsoft, che ha appena acquisito Skype, per la realizzazione di questa. Infatti, se la mossa fosse la seconda, si prospetterebbe una vera e propria battaglia (ancora una volta) fra colossi dove, da una parte c'è Google che cerca di contrastare Zuckerberg sul suo stesso campo, e dall'altra c'è il miliardario ideatore di Facebook che sceglie la potentissima Microsoft per "coprirsi le spalle".

Oltre a questa, esistono altre due ipotesi che circolano in rete nelle ultime ore. Si sospetta che durante la prossima conferenza il social network di Palo Alto annunci il rilascio dell'applicazione ufficiale di Facebook per iPad e un servizio aggiuntivo di photo-sharing per palmari.

Manca poco e vedremo. Stay tuned!


...e in Gran Bretagna inizia la lotteria della fertilità


Risale solo a qualche giorno fa la notizia, data su questo blog, relativa all'iniziativa dello stato indiano del Rajasthan, il quale ha indetto una lotteria per limitare le nascite offrendo la possibilità a tutti coloro (maschi e femmine) che accetteranno di sterilizzarsi di partecipare all'estrazione di auto, moto o elettrodomestici di vario tipo.

Notizia di oggi, in Inghilterra sta accadendo la medesima cosa, soltanto che anziché incentivare la sterilizzazione e la conseguente limitazione delle nascite, un'Associazione britannica, la "To Hatch", su autorizzazione della Gambling Commission di Londra,  ha lanciato una lotteria con l'obiettivo di incentivare la fertilità e dove chi vince ha diritto a ricevere cure mediche e a soggiornare in hotel di lusso.

Il nome del nuovo gioco che partirà il prossimo 30 luglio è "IVF lottery" ed è stato creato per aiutare le coppie che non riescono a concepire un bambino per problemi di fertilità. Il funzionamento prevede la vendita di biglietti dal costo di 20 sterline l'uno che potranno essere acquistati on line, in edicola o in altri centri autorizzati. L'estrazione, che inizialmente sarà mensile per poi diventare bisettimanale, decreterà un vincitore che avrà diritto, insieme al partner, ad un pacchetto di cure per la fertilità, al soggiorno in un hotel di lusso e ad un autista per il tragitto dall'albergo al centro medico, per un valore complessivo di 25mila sterline.

La lotteria, nelle intenzioni dell'associazione "To Hatch" che supporta le aspiranti mamme e gli aspiranti papà ad avere un figlio, dovrebbe aiutare le giovani coppie britanniche a procreare. Per tale motivo, pur essendo la lotteria aperta a chiunque, nel caso dovesse vincere un single, un anziano o un omosessuale, il vincitore sarà invitato a cedere il biglietto ad amici o familiari che rientrano nel target della lotteria.

Nonostante le proteste di chi vede nella "IVF lottery" una mercificazione della maternità e della paternità, i responsabili "To Hatch" difendono la lotteria sostenendo che essa, a causa dei tagli dell'austerità alla sanità pubblica britannica la quale non è più in grado di garantire il suo sostegno alle coppie che soffrono di infertilità, risulterà essere un modo per tenere viva la speranza delle giovani coppie che non hanno la possibilità economica di potersi permettere delle cure private.

Così come in India, anche l'Inghilterra ricorre alla via della speranza per invogliare le persone a partecipare ad una lotteria dalle scarsissime probabilità di vincita. La differenza è che in India si paga con l'accettazione dell'infertilità mentre in Inghilterra si paga per combatterla. É davvero paradossale come le culture e le necessità di due stati siano così diametralmente opposte ma, allo stesso tempo, essi utilizzino la medesima arma illusoria della speranza per ottenere il consenso del proprio popolo.

Considerando che il nostro stato è a crescita zero e uno dei più vecchi al mondo, resta solo da attendere che qualche esponente del nostro governo ripristini gli incentivi di epoca fascista per invogliare le persone a procreare. Anche perché nel nostro paese il problema dell'infertilità è ben poca cosa rispetto al problema della precarietà, della disoccupazione e delle conseguenti difficoltà economiche che impediscono alla stragrande maggioranza dei giovani di trovare anche "solo" il coraggio di mettere al mondo un figlio.


lunedì 4 luglio 2011

Annuncia per errore un party su Facebook e arrivano in 1.600


Potenza dei social network, o meglio, del "Social Network", Facebook. Se è diventata consuetudine utilizzarlo praticamente per qualsiasi cosa, dalla condivisione di foto alle informazioni, da una semplice chiacchierata fino ad un invito ad un compleanno, è bene per ogni utente monitorare attentamente i destinatari dei propri messaggi. Questo perché la quantità di amici che ognuno possiede è direttamente proporzionale al disastro che si otterrebbe se un invito diretto a pochi si estendesse casualmente a tutti.

Lo prova quanto è accaduto a Thessa, una ragazzina tedesca di 16 anni che, non più tardi di qualche settimana fa, aveva pubblicato su Facebook un invito al proprio party di compleanno dimenticando di rendere l'evento privato. Per questo motivo si è ritrovata la bellezza di 1.600 persone sotto casa che inneggiavano ad un party che, chiaramente, non era destinato a loro, almeno nelle intenzioni. Il risultato è stato un intero quartiere bloccato, un centinaio di poliziotti intervenuti per sedare i più facinorosi, qualche ferito e danni ai giardini pubblici.

La Germania non è nuova ad accadimenti del genere. I "party di Facebook" sono molto diffusi negli stati federati, tanto che i ministri dell'interno all'unisono hanno dato l'allarme sull'intensificarsi di enormi assembramenti di persone a seguito di party organizzati tramite il social network. Tale fenomeno provoca  diversi problemi alle forze dell'ordine che spesso, a causa della mole dei gruppi, si trovano costrette a dover intervenire in forze e non senza correre rischi.

Lo scorso mese aprile un avvenimento del genere si è avuto in un'altra cittadina tedesca dove, a seguito di un "party di Facebook" di 800 "amici", sono state ferite 16 persone e 41 fermate dalla polizia. Un vero e proprio bollettino di guerra per un semplice party.

Forse, in occasione della propria festa, sarebbe meglio invitare i "veri amici" alla vecchia maniera, di persona.


sabato 2 luglio 2011

In India è iniziata la lotteria della sterilizzazione


L'opulento occidente fa gola ad ogni singolo individuo dell'attuale miliardo e 250 milioni di indiani. Questo il governo indiano lo sa bene e per questo, di tanto in tanto, cerca di contrattare la cessazione delle nascite con la promessa di premi come elettrodomestici, auto, moto e altri beni voluttuari che, se per noi europei sono la "norma", per un indiano rappresentano un vero e proprio status symbol.

Accade così che nello stato indiano del Rajasthan le autorità mediche stanno tentando di convincere la popolazione a "limitare le nascite" offrendo in cambio la possibilità di partecipare ad una lotteria che prevede, per tutti coloro che decideranno di sterilizzarsi (sia maschi che femmine), l'estrazione di alcuni premi considerati prestigiosi come la "Tato Nano", l'auto più economica del mondo.

Un vero e proprio tentativo disperato da parte delle autorità indiane che ormai da tempo lottano contro una minaccia concreta: diventare entro il 2030 il paese più popoloso del mondo. Le scarse risorse e la ridondante popolazione (ogni coppia mette al mondo, in media, 5 figli) rendono le misure governative sempre più stringenti al punto da barattare la sterilità degli esseri umani con oggetti ritenuti dal popolo "desiderabili". In particolare, il Rajasthan, già noto alla cronaca per essere lo stato con il più alto tasso di assunzione di anticoncezionali orali dell'India, ha mostrato nel tempo una particolare sensibilità al problema dell'eccesso di nascite fino ad arrivare allo strumento estremo della sterilizzazione volontaria.

Qual'è la dinamica dell'"operazione a premi"? Fino al 30 settembre 2011 chiunque, uomo o donna, si iscriva alla lotteria procederà alla sterilizzazione e avrà la possibilità di vincere uno dei premi in palio ad estrazione. Quindi, a fronte di una rinuncia definitiva alla procreazione vi sarà una scarsa probabilità di vincere un premio del valore di poche centinaia di euro. 

Sembrerebbe che il governo indiano punti più sulla leva della speranza e sul miraggio del benessere che sull'informazione e la scolarizzazione del proprio ignaro popolo. La storia insegna che le procreazioni, per così dire, "massive" sono il frutto di una scarsa scolarizzazione, di una economia poco sviluppata, di un benessere mal distribuito e di una condizione di degrado delle donne. Ciò significa che per ridurre l'ascesa senza limiti di un popolo già ora mastodontico non basterà certamente una lotteria ma serviranno misure ben più concrete e rispettose della dignità di ogni essere umano.

A pensarci bene, la Tata Nano avrebbe le potenzialità per ridurre le nascite. Considerando le sue dimensioni, non vi entrerebbero più di 4 persone scarse e quindi le famiglie indiane, per non rinunciare ai propri spostamenti e allo status symbol di possedere un'auto, eviterebbero ben volentieri di mettere al mondo altri figli. Detto ciò, basterebbe quindi regalarne una a famiglia e il gioco è fatto. Se non altro il baratto sarebbe concreto e non ingannevole. 

D'altronde, se la leva è quella insostanziata dell'apparire, anche questo ragionamento, al pari della lotteria, non farebbe una piega.

venerdì 1 luglio 2011

La NBA abbassa la serranda. Chiude il basket USA


Tempo di vacche magre. Da non credere, la NBA, il campionato di basket professionistico più bello e più caro al mondo è in crisi, al punto che, per ora, i battenti restano serrati.

Ora, per chi come me, a cavallo tra gli anni '80 e i '90, ha vissuto il sogno americano con gli occhi di un ragazzino affascinato dalle gesta eroico-cestistiche di un Michael Jordan, di un Magic Johnson, di un John Stockton o di una Charles Barkley, questo è un vero colpo al cuore. Dopo aver vissuto per anni a pane e "All Stars" la notizia potrebbe risultare drammatica. Niente più assist, ganci, stoppate e schiacciate "spacca-canestro", una vera tristezza.

Ma cosa potrebbe fermare il campionato più ricco al mondo? La fine della ricchezza, chiaramente. I giocatori hanno deciso di scioperare in quanto non hanno trovato un accordo con le società per il rinnovo del contratto collettivo. Pertanto la lega si è vista costretta ad ufficializzare sul proprio sito il "lockout" a tempo indeterminato, ovvero fino a quando non sarà raggiunto un accordo con i giocatori il cui contratto è scaduto il 30 giugno.

Il Vice commisioner della NBA, tale Adam Silver, da par suo ha affermato che la lega ha bisogno di un accordo sostenibile che permetta a tutte le 30 squadre del campionato di essere competitive, di ricompensare i propri giocatori e ottenere degli utili. Per questo la NBA ha proposto alle stelle più pagate al mondo un accordo pari a 2 miliardi di dollari da dividere ogni anno tra tutti i giocatori, pari ad uno stipendio medio di 5 milioni di dollari a cestista. La risposta dei giocatori è stata un secco no.

Sembra assurdo vero? Rifiutare 5 milioni di dollari l'anno. D'altronde, dal punto di vista dei giocatori, la cosa è del tutto giustificata, basti pensare che la star dei Los Angeles Lakers, lo spagnolo Pau Gasol, arriva a guadagnare da solo circa 80 milioni di dollari l'anno, pur essendo solamente tra "i più pagati" in NBA.

Il problema è sorto a causa dell'indebitamento cronico di buona parte delle società della lega. Un vero e proprio buco di bilancio che ha portato i proprietari delle squadre a chiedere ai giocatori una riduzione degli ingaggi pari al 30%. Un affronto per chi è abituato a viaggiare abbondantemente sopra le sei cifre.     In più, come se non bastasse, è mancata una intesa sulla distribuzione dei profitti che, su proposta dei club, dovrebbe calare dal 57% del precedente contratto scaduto ieri al 50% del prossimo.

In attesa che la situazione si sblocchi, gli agenti delle stelle europee senza contratto starebbero già prendendo accordi con alcuni club del vecchio continente per evitare ai propri giocatori uno stop gravoso e pericoloso dal punto di vista della forma fisica e finanziaria. Siamo pronti a scommettere che le squadre europee si stiano già leccando i baffi nell'attesa di godersi questi mostri sacri del basket mondiale in azione ai prossimi europei di Vilnius in programma a settembre.

Speriamo che la cara e vecchia NBA riuscirà a tirarsi su, magari convincendo i propri giocatori che la passione per uno degli sport più belli del mondo vale più di qualche milione di dollari in meno all'anno. Siamo certi che riuscirebbero comunque a sopravvivere.

giovedì 30 giugno 2011

Agcom e il copyright: il web è a rischio censura?


6 luglio 2011, questa la fatidica data in cui l'Agcom dovrebbe approvare la delibera 668/2010 che prevede, tra i diversi punti, l'autorizzazione a rimuovere contenuti da qualsivoglia sito web che non rispetti il diritto d'autore anche in assenza di sentenza da parte di un giudice.

Questi i passaggi della dinamica prevista. Una volta accertata una violazione del copyright da parte dell'Agcom, il gestore del sito web avrebbe 48 ore per eliminare i contenuti contestati; trascorso questo tempo l'Agcom, dopo un contraddittorio e, comunque, non oltre 5 giorni, avrà il potere di provvedere alla cancellazione dei contenuti o all'oscuramento del sito in questione.

Da notare che la meccanica dell'intervento non prevede alcun passaggio all'autorità giudiziaria, la cui cosa ha fatto sobbalzare gli animi di gran parte degli utenti del web che hanno intravisto tra le righe l'ombra della censura. Nel frattempo la notizia del provvedimento Agcom sta facendo il giro della rete e pian piano tutti si stanno rendendo conto delle eventuali conseguenze, nel bene e nel male, che l'approvazione della delibera porterebbe alla nostra rete nazionale.

Mentre la mobilitazione in rete contro il provvedimento si sta espandendo a macchia d'olio, gruppi di hacker, tra cui il collettivo Anonymous, hanno preso di mira il sito dell'Agcom. Da un lato c'è chi grida allo scandalo per l'approvazione di una legge censura e dall'altro chi plaude ad una legge che, finalmente, proteggerà realmente il diritto d'autore tanto bisfrattato dal web.

C'è da dire che il copyright non ha mai vissuto momenti felici sul web in quanto, nonostante sia garantito dalla legge italiana, la rete rende difficilmente difendibile il diritto d'autore essendo internet sinonimo di condivisione (oggi come non mai). Pertanto la pirateria, ad esempio, ha sempre agito indisturbata in quanto è praticamente impossibile per uno stato rilevare e punire violazioni commesse da quasi l'intera popolazione. Questo bisogna dirlo per onestà intellettuale.

Ma allora qual'è il pericolo di questa delibera e quale la sua vera portata? In effetti una legge del genere esiste già in Europa, in Spagna per la precisione, dove la legge Sinde prevede la chiusura di siti web che violino il copyright. Vi è però una differenza sostanziale con la delibera Agcom in quanto, mentre in Spagna per chiudere un sito deve esserci stata una sentenza di un giudice, la nostra delibera di prossima approvazione non prevede affatto la sovranità dell'autorità giudiziaria e la censura avverrebbe per via amministrativa.

Facile intuire che una censura effettuata per via amministrativa potrebbe celare interessi, prevaricazioni, contese e tutta una serie di circostanze che, normalmente, appartengono all'inponderabile e restano escluse da uno stato di diritto. Pertanto potrebbe accadere che blogger e giornalisti, ad esempio, non conoscendo i rischi che corrono scrivendo sul web, eviteranno di scrivere determinate cose o che i cittadini troveranno nuovi modi, ancora più sofisticati, per aggirare le censure.

La cosa più grave, a parer di molti, è che una delibera del genere entrerebbe in vigore nel picco massimo di condivisione delle informazioni sulla rete mondiale.

Un gran bel controsenso all'italiana, di quelli che il nostro paese non si fa mai mancare, e che dimostra, come spesso accade, che alcune leggi sono fatte da chi non possiede la materia. Nella fattispecie, chi conosce la rete e i cambiamenti sociali che i Social Network stanno apportando alla vita di noi tutti non avrebbe mai partorito una cosa del genere.

Staremo a vedere cosa accadrà. Nel frattempo siamo tutti speranzosi che la giusta difesa del diritto d'autore non diventi il trampolino di lancio per una censura "senza regole" alla fonte di informazioni più democratica che sia rimasta nelle nostre mani.

mercoledì 29 giugno 2011

Google+, il social firmato Big G diventa plus



Google ci riprova e lo fa con un progetto plus.

Dopo i flop di Wave e Buzz il colosso californiano ha appena lanciato Google+ (leggasi plus), un nuovo portale social che cercherà di concretizzare ciò che in passato non gli è riuscito: dar vita ad una rete di condivisione globale. Poi è arrivato Facebook e addio sogni di gloria.

L'impressione che Google ha dato fino ad oggi, se mi è concesso un paragone calcistico, è quella di un fantasista dai piedi buoni e dalla eccellente visione di gioco a cui però è sempre mancato il goal. Fino ad oggi, browser a parte (specialmente in versione italica), sembra che Google abbia inventato, costruito, dettato il gioco ma non abbia mai tirato in porta.

Ecco quindi Google+, il social network che potrebbe essere il primo vero tiro in porta di Big G in versione Social. Certo, il momento non è dei migliori, considerando che Facebook ha da poco raggiunto la stratosferica cifra di 700 milioni di utenti e che MySpace è stato definitivamente dismesso da Murdoch.

Per ora il nuovo social network è in fase beta, ovvero sperimentativa, e l'accesso è riservato a un numero limitato di utenti. Anche il funzionamento di Google+ rispetterà la dinamica degli inviti e metterà a disposizione degli utenti diversi strumenti di condivisione. Circles, Sparks, Hangouts, Instant Upload e Huddle, questi gli strumenti fondamentali del progetto plus sul cui funzionamento lascio a voi lettori la curiosità di approfondimento (antipasto video a fine post).

Sembrerebbe che Google abbia voluto unificare in un sol colpo social network e cloud computing cercando di portare a termine, definitivamente, quei progetti sviluppati con largo anticipo sui propri concorrenti diretti ma mai concretizzati fino in fondo.

Infine, mi preme sottolineare il valore aggiunto, il vero "plus" di questo nuovo portale social che, contrariamente a Facebook, dovrebbe permettere agli utenti di tenere la propria vita social negli ambiti che ognuno realmente sceglie. Una sorta di condivisione sensata che rende mirata e "volontaria" la comunicazione di "faccende personali". A tal riguardo, Bradley Horowitz, responsabile di Google +, ha affermato: "Nella vita reale abbiamo muri e finestre, e posso parlare con te sapendo chi è presente nella stanza. Nel mondo on line, ricevi una scatola "condividi" e poi condividi con tutto il mondo".

Che vi piaccia o no, siamo nella condivisione fino al collo.



Apple, Google e Microsoft: una battaglia giocata sulle nuvole


Il nuovo territorio di battaglia per i grandi colossi informatici sono le nuvole.

Le mosse strategiche di questo mese di giugno ne sono la prova inconfondibile. Il nuovo diktat tecnologico, o semplicemente il concetto più di tendenza, all'interno del settore informatico si chiama "condivisione", o meglio, in termini tecnici, cloud computing. Tutto sembra ormai essere pensato, progettato e prodotto per essere condiviso.

L'obiettivo è quello di spostare sulle nuvole - intendendo per nuvole un insieme di tecnologie che permettono sia di memorizzare/archiviare dati che di elaborarli (con CPU o Software) tramite l'utilizzo di risorse distribuite e virtualizzate in rete (Fonte Wikipedia, voce Cloud computing) - interi pacchetti di dati di ogni individuo, permettendo a quest'ultimo di poterli adoperare e condividere in ogni istante da qualsiasi computer semplicemente accedendo alla rete internet, avendo così a disposizione uno "storage" pressoché illimitato.

Il web sta diventando un enorme Social Network. Ma questo ce lo aspettavamo.

Ad entrare nel vivo della battaglia ci ha pensato Apple che, solo pochi giorni fa, ha lanciato iCloud, il nuovo servizio di condivisione in rete della casa di Cupertino. Un vero e proprio fulmine a "ciel sereno" considerando che quel buon vecchio genio che è Stieve Jobs non ha fatto altro che anteporre una "i" ad un concetto, quello del cloud, di cui si parla già da qualche anno. Così che, anche questa volta, ad Apple è bastata una vocale per trasformare il consueto in inconsueto e per rendere magica una tecnologia che, concettualmente e operativamente, è già vecchia di anni.

Come spesso accade negli ultimi anni, a seguire sono approdati alle nuvole anche Microsoft e Google. La prima, non più tardi di ieri, ha lanciato Office 365, ovvero l'approdo al cloud computing del famosissimo pacchetto di software composto da Word, Excel, Outlook e Powerpoint. Al riguardo Steve Ballmer ha affermato: "Con lo sbarco di Office sulla cloud aiutiamo la gente a dar vita alle loro idee e aggiungiamo la collaborazione alla produttività." Una sintesi non proprio entusiasmante.

Infine, a completare la diatriba giocata a suon di condivisione, Big G ha lanciato Instant Upload per provare a riconquistare le nuvole. Si, riconquistare, dato che Google è stato tra i primi colossi informatici a trasformare in realtà il cloud con il suo Docs, programma che permette di creare documenti da zero e di caricarli in rete, senza passare dal proprio hard disk.

Insomma, ancora una volta Apple ha fatto le scarpe a tutti, ed è bastata una semplice "i". Basta leggere quanto Stieve Jobs ha affermato  durante la presentazione dell'iCloud: "Alcune persone pensano che il cloud sia un hard disk nel cielo. Esegui caricamenti e download. Noi pensiamo sia molto più di questo. Noi lo chiamiamo iCloud. Archivia i tuoi contenuti nel cloud e automaticamente li invia ai tuoi dispositivi."

A parte la sincronizzazione, forse il vero punto forte di Apple da sempre, nulla di nuovo all'orizzonte, almeno da un punto di vista tecnologico. Sul piano del marketing non si discute, Apple ha già vinto. Ancora una volta.

lunedì 27 giugno 2011

Creato Eccerobot, il primo robot che impara dagli errori


Nasce all'Università di Zurigo, dopo un "gravidanza triennale" portata avanti da un team di 25 scienziati, Eccerobot, il primo robot dotato di un sofisticato cervello elettronico che gli permette di non ripetere gli stessi errori. Un prodigio dell'intelligenza artificiale, frutto dell'eccellenza dell'ateneo elvetico, che già rappresenta un traguardo straordinario nel campo della robotica.

L'innovazione di questo esemplare di robot consiste nella sua composizione. L'automa è dotato di ossa, muscoli e tendini di plastica, proprio come un vero essere umano. Il progetto, costato diversi milioni di euro, ha permesso di elaborare delle articolazioni che, grazie a dei motori elettrici, sono in grado di spostare le ossa.

Inoltre, il sofisticatissimo cervello del robot, gli permette di non commettere più di una volta uno stesso errore. Per il momento, la possibilità di non ripetere errori riguarda esclusivamente le capacità di movimento del robot, ma gli scienziati hanno già confermato che, nel giro di qualche mese, tale capacità sarà estesa anche al resto dei comportamenti di Eccerobot.

Oltre alla meraviglia e alla curiosità che scaturisce dinanzi ad un esperimento del genere, come sempre accade nel caso di grandi progetti come questo, il fine è ben più nobile di una semplice messa in scena. Eccerobot nasce infatti con lo scopo principale di studiare, attraverso la lente della robotica e dell'intelligenza artificiale, come funziona l'apparato umano dinanzi ad una operazione complessa.

L'obiettivo è quello di creare arti artificiali che funzionino allo stesso modo di quelli umani e che possano  rappresentare, in un futuro non troppo lontano, delle valide alternative nei casi di trapianto per malformazioni o amputazioni o anche nell'attuazione di lavori complessi e pericolosi dove è richiesta la capacità di movimento di un arto umano.

La realtà paventata da "Io Robot", bellissimo film di stampo fantascientifico di qualche anno fa tratto dall'omonimo romanzo di Isaac Asimov, sta per avverarsi? Da sempre la fantascienza di un tempo è la scienza di quello successivo. Quindi non dovremo meravigliarci se, in un futuro prossimo, la mattina sarà il nostro robot  personale a sminuzzare la cipolla o ad aggiustare la caldaia.

Infine, una riflessione. Il cervello di Eccerobot è stato creato per essere quanto più vicino possibile a quello di un essere umano, in particolare per la sua capacità di non commettere gli stessi errori. Ma siamo sicuri che la peculiarità del cervello umano sia quella di non ripetere gli stessi errori?

E pensare che fino ad oggi ho sempre pensato il contrario.

Vasco Rossi si "dimette da Rockstar"


"Continuerò a scrivere canzoni, ma dichiaro felicemente conclusa l'attività di 30 anni da rockstar. Questa è l'ultima tournée. Magari farò dei concerti all'improvviso, ma uno a 60 anni non può più fare la rockstar."

Che dire se non che Mick Jagger non sarebbe assolutamente d'accordo. A parte questo, sembrerebbe che la rockstar nostrana più amata non ne ha più e ha deciso di auto-pensionarsi, forse prima che, come la storia insegna, lo faccia qualcun altro per lui. Una dichiarazione quella del Blasco, fatta ai microfoni del tg1 al solito Vincenzo Mollica, che suona un pò come "non siete voi che mi cacciate ma sono io che me ne vado".

Ad ogni modo, lo "spericolato" Vasco, dopo una carriera fatta di pochi bassi iniziali e poi di soli alti, a 60 anni comincia ad avvertire un pò di stanchezza, la stessa che sembra aver mostrato durante le solite 4 tappe sold out allo stadio San Siro. Qualche ritardo, un pò di affanno sul palco e alcuni monologhi "di troppo" hanno evidenziato un Blasco non più in forma smagliante, un pò appesantito e, a tratti, quasi goffo. Insomma, sembra che il tempismo della sua dichiarazione sia perfetto.

Ma uno dei cantautori più amati del nostro paese non può sperare di passarla liscia, o quantomeno, non può credere di poter uscire di scena così, con una dichiarazione ad un telegiornale senza prima aver preparato psicologicamente le migliaia di fan che pendono dai testi delle sue canzoni. É partito così il toto-pensionamento digitale, per lo più giocato su (tanto per cambiare) Facebook, dove da un lato c'è chi ha malinconicamente creduto al triste annuncio e dall'altro qualche "maligno" che si chiede se non sia una strategia commerciale della sua casa discografica per pompare le vendite del suo ultimo album (che onestamente, più di tanto, non ne avrebbe bisogno).

Singolare resta il fatto che la dichiarazione di Vasco avvenga a pochi giorni dalla querelle avuta con il cantante Morgan, il quale aveva affermato che il cantante emiliano è artisticamente morto 27 anni fa. Forse Vasco aveva già previsto tutto ciò e per questo aveva in serbo l'abbandono della scena live, certamente la più entusiasmante ma anche la più impegnativa per ogni cantante che si rispetti.

Ha deciso quindi di chiudere in bellezza, con 4 sold out, così da non dover mai vivere quell'orrenda sensazione di non poter organizzare un concerto in quanto sai che ci verranno in pochi, troppo pochi per giustificarne l'investimento. D'altronde il mito diventa tale quando nella memoria degli adepti ne rimane una immagine vincente, carismatica e di successo.

Forse Vasco sa che per diventare un mito anche per il futuro deve mollare e, nel bene e nel male, deve farlo adesso.

venerdì 24 giugno 2011

Aimi Eguchi è un falso digitale. Ecco il mistero della band giapponese AKB48


Il Giappone è un paese che, dal punto di vista tecnologico, oserei definire mistico. Infatti, per parafrasare una frase nota del celebre film "Blade Runner", solo nella terra del sol levante accadono cose che "noi europei non abbiamo mai visto"

É questo il caso di un gruppo pop femminile, le AKB48, formato dalle famose "idol" giapponesi, ovvero adolescenti che diventano popolari nel mondo dello show-biz grazie alla loro avvenenza. Il gruppo in questione, formatosi grazie ad un casting del 2005, è formato in totale da 58 cantanti divise in 4 gruppi da 16 e si esibisce regolarmente al teatro di Akihabara, un distretto di Tokio. Ebbene, all'inizio di giugno ha cominciato ad esibirsi, assieme alle ragazze già note al grande pubblico, una nuova idol, Aimi Eguchi.

La nuova promessa del pop ha subito conquistato i fan delle AKB48 grazie alla sua straordinaria bellezza e alla incredibile somiglianza con le altre componenti del gruppo.  Nel giro di poche settimane la fantomatica sedicenne ha conosciuto una enorme notorietà grazie all'apparizione sulla copertina della versione nipponica della rivista Weekly Playboy e in uno spot pubblicitario di caramelle.

I fan hanno cominciato a nutrire dei dubbi in merito all'immediata impennata di notorietà di una idol che prima, effettivamente, non esisteva. Così che, nonostante le smentite del manager del gruppo, l'azienda di caramelle che ha utilizzato il volto della ragazza per uno spot pubblicitario, ha (strategicamente) confessato che la ragazza non è reale ma è solo il frutto di una animazione digitale.

Successivamente a questa che riteniamo una pilotatissima "confessione", la stessa società dolciaria ha pubblicato su YouTube un video (vedi sotto) che mette in evidenza come sia stata elaborata l'immagine della pop star digitale attraverso l'utilizzo e l'"incrocio" dei tratti somatici delle componenti più avvenenti del gruppo AKB48. Parallelamente ha rilasciato un'applicazione che permette agli utenti di creare la propria pop idol e condividerla su Facebook.

Beh, non c'è che dire, una gran bella operazione di marketing perfettamente riuscita. Considerando che il gruppo di idol in parola è un vero e proprio fenomeno discografico che vende oltre un milione di dischi ogni volta che pubblica un nuovo brano, la compagnia dolciaria ci ha visto davvero lungo.

Per i fan è stato uno scherzo dal retrogusto "dolce", breve ma intenso. A pensarci bene, hanno ancora a disposizione ben 58 avvenenti ragazze da idolatrare.


giovedì 23 giugno 2011

Tifosi russi lanciano banane contro Roberto Carlos. Il razzismo vince ancora


Il razzismo è un concetto subdolo, strisciante, un pregiudizio duro da eliminare, una scoria dell'intelletto che non dovrebbe trovare spazio nelle società evolute del 21esimo secolo, tantomeno sugli spalti di un campo di calcio.

Da tempo le federazioni calcistiche del vecchio continente si battono ardentemente contro i fenomeni di razzismo all'interno degli stadi. Gli stessi giocatori, capitanati dal campione argentino Lionel Messi, non molto tempo fa, si sono prestati a manifestare il loro dissenso nei confronti di questo stupido pregiudizio in uno spot pubblicitario televisivo. Da sempre campioni di tutti gli sport hanno alzato la propria voce e, tutti insieme, hanno urlato al mondo e ai propri tifosi "NO RACISM!".

Tutto questo è sicuramente servito, ma non in fondo. Il razzismo, psicologicamente interpretato come forma di etnocentrismo, risultante della paura dello "straniero" inteso come appartenente ad un'altra etnia, è un lascito del nostro istinto, del nostro modo di proteggere il clan/specie che ha probabilmente preservato le varie sfumature della razza umana fino ad oggi. Sembrerebbe che, nonostante l'aumento della nostra massa cerebrale e l'amplificazione delle nostre doti psichiche, il pregiudizio del razzismo sia duro da demolire, un pò come i denti del giudizio che, seppure non più utili alla masticazione, continuano a crescere e, nel più dei casi, ad ammalarsi.

La risultante di ciò è che, durante una partita di calcio della massima serie russa tra Anzhi Makhalachka, di cui Roberto Carlos è attualmente capitano, e Krylia Sovetov Samara, un gruppo di tifosi ha lanciato delle banane al campione brasiliano insultandolo in vario modo. Per tutta risposta Carlos si è tolto la fascia di capitano e ha abbandonato il campo di sacrosanta ragione.

La stella brasiliana ha affermato "Questo disgustoso sfogo razzista da parte di qualche bastardo - è difficile chiamarli uomini - ha oscurato il match e generato una rabbia profonda nei fan". L'allenatore della squadra, Gadji Gadishchev ha appoggiato il gesto del calciatore così come il presidente della lega calcio russa Andrei Fursenko che ha definito Carlos il più grande calciatore che sia mai venuto in Russia.

L'episodio di razzismo non è l'unico ai danni del giocatore cha ha già subito, non molto tempo fa, insulti razzisti dai tifosi russi con analogo lancio di banana. Sembrerebbe comunque che il calciatore non abbia intenzione di lasciare la squadra e il campionato russo e di onorare il contratto fino in fondo. Il nr. 3, il terzino più forte di sempre del calcio brasiliano vuole andare fino in fondo per non darla vinta a chi crede di poterlo mettere fuori gioco con la propria vigliaccheria.

Il calcio ha bisogno di questi campioni, mentre degli stolti che abbondano nelle tribune degli stadi se ne potrebbe davvero fare a meno. Guardare per credere.



La chirurgia estetica? Un antidoto al licenziamento


Come da copione, la tendenza arriva dagli USA dove milioni di persone hanno deciso di affidarsi al "ritocchino" per non perdere il posto di lavoro. "Faccia nuova, lavoro preservato" insomma, ecco il nuovo metodo per restare aggiornati e adeguati a quella determinata posizione raggiunta con tanto impegno e sacrificio. Mettiamola così, potremmo paragonare il ritocco ad una sorta di "corso si aggiornamento estetico".

Starete pensando "guarda che tocca fare per mangiare". Beh, dipende dai punti di vista. Fatto sta che negli USA tra iniezioni di botulino o filler, minilifting e blefaroplastiche, negli ultimi anni chi si è concesso un intervento estetico è aumentato in modo inversamente proporzionale a chi ha perso il lavoro. Lo scorso anno ci sono stati 13 milioni di trattamenti equivalenti al 5% in più rispetto al 2009, tra cui, niente poco di meno che un milione di uomini.

Sembrerebbe che in America sempre più uomini, per lo più over 55, decidano di usufruire dei prodigi della medicina estetica per eliminare i segni dell'età, come le rughe attorno agli occhi, in modo da darsi un'aria più giovane in ufficio. Il ricorso al ritocco da parte delle donne rimane invece per lo più tradizionale: naso, zigomi e seno i sempreverde femminili.

Se l'America chiama l'Italia risponde. Ma cosa sta accadendo da noi? Contrariamente agli USA, nel bel paese sono sempre le donne a ricorrere, per la stragrande maggioranza, agli interventi estetici. Si tratta solitamente di interventi poco invasivi, mirati al ringiovanimento, spesso intesi da chi vi si sottopone come una sorto di "rilancio professionale".

Ormai, per non perdere il lavoro, non si sa più a che santo votarsi e la soluzione estetica sembra la più quotata. Già mi immagino una società di impiegati e manager, sempre giovani e sorridenti, che approfittano della pausa pranzo per una piccola iniezione di botulino. Non si sa mai che il capo si accorga di quella ruga, potrebbe licenziarci.

mercoledì 22 giugno 2011

Maturità, anche Andy Warhol per la prova di italiano


Ungaretti, Verga, D'Annunzio, Svevo, Hobsbawm, Fermi. Qualcuno che ha già sostenuto la maturità qualche anno addietro potrebbe dire "i soliti noti". In effetti, visti gli autori e i temi scelti per la prova di italiano, siamo più o meno alle solite.

Andy Warhol però è una sorpresa, una piacevole sorpresa. Partendo dalla famosa frase del maestro della Pop Art, "Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti", la traccia d'attualità di quest'anno chiede agli studenti di analizzare il valore assegnato alla fama effimera nella società odierna. Siamo pronti a scommettere che "La fama al tempo dei reality e dei social media" incontrerà il favore di molti studenti visto che propone un argomento molto sentito ai giorni nostri.

C'è da dire che il tema d'attualità è da sempre il più scelto dai giovani, un pò perché permette a chiunque di affrontare gli argomenti trattati sulla base della propria conoscenza della società odierna, più che sulla cultura didattica vera e propria, un pò perché, in tutta onestà, gli argomenti di attualità sono decisamente più interessanti e avvincenti.

Nella fattispecie, è assicurato l'interesse verso una traccia che invita gli studenti a riflettere sul valore che la società contemporanea dà alla "fama" e sul concetto di questa proposto dall'odierna industria televisiva, fatta per lo più di reality e talent show, o diffuso dai social media come Facebook, Twitter o YouTube.

Una traccia che oserei definire "profonda" dal punto di vista umano e universale dal punto di vista culturale. Chi sa, ad esempio, un esistenzialista come Blaise Pascal cosa avrebbe pensato e detto di fronte a quanto sta accadendo, o un illuminista come Voltaire in che modo si sarebbe espresso dinanzi alle possibilità offerte dalla comunicazione multimediale. Un argomento quindi, di una ricchezza estremamente vasta che, da Marshall McLuhan a Umberto Eco, è stato affrontato da sterminati punti di vista e dà, oggi più che mai, enormi possibilità di analisi e considerazione.

Non fosse altro che parliamo di comunicazione, ovvero la base dei rapporti umani, qualcosa senza di cui non potremmo socializzare, comprenderci e, quindi, vivere. Paul Watzalawick, psicologo e filosofo tra i massimi esponenti della Scuola statunitense di Palo Alto, nella sua "Pragmatica della comunicazione umana" affermava che "non si può non comunicare".

Credo che in breve tempo potremmo modificare la locuzione in "non si può non comunicare digitalmente". Non passeranno molti anni da che la rete diventi indispensabile per gli esseri umani e nessuno potrà più farne a meno.

Ah ragazzi, mi raccomando, non copiatemi il pensiero! :)
In bocca al lupo!

martedì 21 giugno 2011

Nell'era di Internet anche le suore si digitalizzano


Sappiamo tutti che la Chiesa, da che mondo e mondo, ha sempre avuto qualche difficoltà a stare al passo con l'innovazione in senso lato. D'altronde, essendo la Chiesa garante della millenaria religione cristiana, non potrebbe essere altrimenti. Pertanto il Vaticano ci ha abituato da sempre a cambi di rotta mai repentini ed ha affrontato ogni cambiamento nel tempo con estrema prudenza. In effetti, solitamente, quando la chiesa sposa definitivamente una innovazione, in questo caso tecnologica, vuol dire che non ne può più fare a meno.

L'innovazione tecnologica in parola è quella legata ad internet e alle nuove tecnologie di comunicazione in genere, viste dalla Chiesa come un rischio ma anche come un'opportunità di dialogo ulteriore. Così si è deciso di dar vita ad un corso multimediale per religiose presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma che si terrà dal 4 al 13 luglio. Tale corso dovrebbe istruire le religiose su alcuni aspetti della comunicazione multimediale riducendo il "digital divide" ecclesiastico.

Onestamente, mi risulta difficile pensare che, tra le migliaia di suore, non esista nessuna che sappia utilizzare la rete e abbia dimistichezza con l'utilizzo degli strumenti offerti dalla nostra era digitale. Più che altro, questo corso promosso in pompa magna dal Vaticano, sembrerebbe essere una sorta di istituzionalizzazione ecclesiastica dell'uso del web, la versione studentesca di una direttiva papale.

Il corso è intitolato "La sfida antropologica nell'era digitale" e, a dire degli organizzatori, lo scopo è quello di offrire una visione ad ampio raggio sulla persona consacrata e il suo modo di interagire con i mezzi di comunicazione. Insomma, una sorta di vademecum religioso per navigare in rete. Secondo i promotori del corso "è perfettamente possibile. per una suora, conoscere le opportunità e affrontare i pericoli dei nuovi media, approcciandoli con un criterio evangelico e di consacrazione".

Il corso si rivolgerà a tutte le religiose che vorranno approfondire l'uso dei mezzi di comunicazione, sia per la vita personale sia per l'apostolato. Le conferenze tenute durante quei giorni saranno tradotte in inglese, francese e spagnolo, dando la possibilità alle religiose di tutto il mondo di comprendere le tematiche affrontate le quali andranno dall'"Uso dei mass media nella vita consacrata" a "La gioventù nell'era digitale".

A prima vista, a cominciare dal nome del corso, l'attenzione degli organizzatori sembrerebbe maggiormente rivolta sui concetti di "sfida" e di "pericolo" nell'era della comunicazione digitale più che su quelli di "opportunità" e di "comunicazione". Ma la Chiesa si sa, come sempre, ha bisogno dei suoi tempi.