mercoledì 20 luglio 2011

Riattivato l'irpef sulla prima casa. La manovra non salva nessuno


Della serie "a volte ritornano". La manovra di bilancio non risparmia neanche l'irpef sulla prima casa, quella abitativa, la quale rientrerà, a partire dal 2013, nel quadro della stretta sulle agevolazioni fiscali. Cosicché ogni proprietario di una abitazione, per un totale di circa 24,2 milioni di italiani, si vedrà costretto a pagare, a partire dalla dichiarazione dei redditi del 2014, il 20% della rendita catastale.

Casa dolce casa. L'ennesima cocente sorpresa per i contribuenti italiani i quali, in questo periodo, ormai si aspettano di tutto. Certo è che il governo dovrà prepararsi a vivere anni di impopolarità, specie dopo che il presidente del consiglio aveva assunto come diktat della maggioranza l'abbattimento delle tasse sulla casa e sulla famiglia in genere.

La deduzione integrale della rendita catastale dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale esiste dal 2001 grazie ad una norma introdotta dal centrosinistra. Fino ad oggi, quindi, la rendita catastale non è una voce che rientra tra quelle che concorrono a formare l'irpef imponibile. Con i tagli previsti dalla manovra economica, a partire dal biennio 2013-2014, durante la compilazione del modello 730 i proprietari di una casa adibita ad abitazione principale si vedranno costretti a sommare al proprio irpef il 20% del valore della rendita catastale della propria casa.

In questo modo lo Stato italiano dovrebbe recuperare circa 3 miliardi di euro a partire dalla dichiarazione dei redditi del 2014. In media, essendo la rendita catastale un valore piuttosto basso, il 20% di questo valore, sommato all'irpef, non inciderà in maniera preponderante sulla somma da erogare alla stato. Se però sommiamo questa "nuova" tassa alle addizionali comunali e regionali irpef effetto del federalismo fiscale e agli altri tagli su detrazioni e deduzioni in arrivo nel biennio in parola il contribuente non ha nulla di cui rallegrarsi.

Insomma, per sanare il buco di bilancio e porre un freno al decadimento del nostro sistema economico il governo non sa più in quale angolo delle tasche degli italiani mettere le mani.

Se allo stato attuale delle cose, uno stipendio di 1.000 euro al mese, percepito mediamente da milioni di italiani, per lo più giovani trentenni precari costretti pertanto a "prolungare" la convivenza con i propri genitori, indica uno stato di povertà quasi totale cosa accadrà fra poco più di un anno?

Ma i nostri politici sono troppo impegnati a chiamare bamboccioni  i giovani precari che vivono con uno stipendio da miseria per chiedersi come mai, nel giro di una sola generazione, l'Italia abbia praticamente depauperato e annullato lo sviluppo economico aprendo le porte ad una nuova povertà fatta di coloro che non hanno la libertà di sentirsi autonomi perché da soli non arriverebbero alla fine di due settimane e non a fine mese.


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